ARTURO MELOCCHI



Secondo una recente pubblicazione I centodieci anni del Liceo Musicale “Rossini” 1992, nella sezione sulle scuole di canto, il Vecchiarelli, così si esprime più volte a proposito del metodo d’insegnamento di Arturo Melocchi: pag. 349 ”… Il suo metodo era infatti piuttosto discusso e ritenuto da alcuni addirittura violento”. – pag. 351 “A proposito di un’intervista a Mario Del Monaco di Renzo Allegri dell’estate del 1982 pubblicava nel suo volume Il prezzo del successo, Milano, 1983, Del Monaco definì Melocchi Maestro eccezionale, insegnava alla maniera antica usando il metodo forte. Alcuni lo giudicavano troppo violento, ma otteneva risultati strepitosi. Seguii i suoi consigli e dopo un anno avevo una voce potentissima”. Che cosa s’intende, allora, per “metodo forte”? Forse, il tirar fuori tutte le potenzialità di una voce, sotto l’attenta cura di un orecchio esperto ed edotto in scienze mediche, senza mai danneggiare o sforzare l’organo vocale, al punto che nessun allievo è mai ricorso alle cure di un otorinolaringoiatra per danni ricevuti all’organo vocale. Il metodo fu “forte” perché forti e di lunga durata furono le carriere dei suoi allievi, che sino all’ultima permanenza sul palcoscenico non fecero mai ricorso a quei trucchetti di microfonia elettronica in sala di incisione, tanto oggi in voga, ma essere in grado come al loro debutto, dopo molti anni, di cantare con mezzi vocali assolutamente integri.

Scusate se brevemente parlo di me. Ho lasciato la carriera di cantante lirico dopo 20 anni per mia libera scelta con la voce perfettamente integra e non in fase calante, ma piuttosto ancor più vigorosa e ricca di esperienza teatrale e spirituale, ne è testimonianza il passare disinvoltamente da ruoli quali quello di Pollione in “Norma”, di Radames in Aida, di “Ernani”, di German nella “Dama di Picche” di Ciaikovski, Licinio nella “Vestale” di Spontini ad un “Pinamo e Tisbe” di Johann Adolf Hasse, che era un po’ come, pur nel mio registro di tenore lirico spinto, essere ad un tempo una farfalla che si libra in un prato fiorito, e al tempo stesso, avere un peso scenico e vocale adatti a Radames e Pollione. Ecco il perché di una frase spesso ripetuta dal Maestro quale: Otello dovrebbe essere in grado anche di calarsi nei panni di un “Nemorino”, questo significa avere il pieno controllo della vocalità acquisita.

Mi chiedo: è questo “il metodo forte”?

Oggi gli studi degli otorinolaringoiatri sono zeppi di cantanti con gravi problemi!

Possiamo processare una seconda volta, dopo i trascorsi pagati durante il fascismo Melocchi? Dobbiamo fare ricorso alla frase espressa da Umberto Giordano, risaputo simpatizzante del regime, che giudicava il Melocchi dopo trent’anni di onorata carriera e una marea di allievi, anche famosi vincitori di concorsi nazionali ed internazionali, scelti anche da Toscanini per il Teatro alla Scala “Non idoneo all’insegnamento”?

Non è facile spiegare con concetti e parole l’essenzialità di un agire tecnico che è il canto, che non si muove su una dimensione visibile, ma concreta e palpabile, dove è difficile localizzare il meccanismo che è il naturale artefice del dono di questo splendido strumento che è la voce umana; e che il Maestro Melocchi spesso usava paragonare al suono del violoncello nel legato, quando poneva il fraseggio nella tastiera e il suono pensato legato su una unica interminabile arcata.

Ovviamente tutto questo nasceva nell’iniziare lo studio che nascondeva la grande difficoltà dell’essere semplici e naturali; e ciò articolando bene la mandibola, aprendo bene la bocca usando il palato alto, la lingua concava e bassa, in modo da non creare ostacoli. Sensazioni di sbadiglio. Respirazione morbida: e per morbida respirazione si intende quella normalmente usata nella dizione parlata, ossia il cantare sul fiato e non col fiato e cioè senza spingere, forzando di conseguenza il suono. Quando si verificava il non raggiungimento di una frase prevista con un solo fiato, e quindi si era costretti a prenderne più di uno, spezzando la curva melodica della frase, ciò non lo attribuiva all’aver mal preso il fiato, ma ad averlo esaurito non legando bene i suoni e emettendo aria nel fraseggio e in tal modo, spingendo a danno della vocalità e dell’espressione musicale.

Amava sottolineare che bisognava avere un grande rispetto delle vocali, e che era inconcepibile quella strana mistura che accade spesso, purtroppo anche nelle migliori famiglie teatrali, di dover ascoltare, per esempio, un “Crodo” in un “Deo crodel” oppure “Amarelli” al posto di Amarilli. Ricordo di essere giunto da lui con una vocalità che il Maestro non riteneva sufficiente a far sì che la voce giungesse sino all’ultima fila del teatro e che quindi bisognava renderla più ampia, più timbrata, lavorando molto nel registro basso e centrale, in modo da creare le fondamenta per poter arrivare con la stessa ampiezza e volume sino al massimo del registro acuto e relative mezze voci, il che significava poter smorzare e ridurre un Si bemolle o un Si naturale sino all’estinzione del suono sempre in posizione rilassata, ma con grande controllo del diaframma e dell’altezza del suono.

Quando un allievo avendo, secondo lui, un grande problema, ossia di non raggiungere i confini del registro grave, il Maestro dimostrava che l’errore consisteva nel pensare di dover scendere, mentre avrebbe dovuto immaginare lo scendere, solamente come fatto di tono, e non di posizione. Quindi lo obbligava a glissare (voce tenorile) partendo da un Mi centrale, scendendo sino al Do basso semitono per semitono, mantenendo la posizione alta del Mi naturale, palatale, scendendo, ma senza pensare di scendere, ma di salire, conservando il timbro preso a modello del Mi centrale, conservando la posizione alta e lasciando le note attaccate al palato.

Può sembrare un controsenso, ma non lo è: visti i risultati!

Oltre a vocalizzare usando bene tutte le vocali in tutti i registri e senza minimamente alterarle, ci imponeva di cantare frasi di arie che erano d’obbligo per tutte le voci nelle varie tonalità, ad esempio: per la dizione, per i fiati e il legato “Spirto gentil” non tutta l’aria, ma solo nel tempo lento stabilito dall’autore, talvolta ancor più lento, la frase tutta d’un fiato: Spirto-gentil-dei-sogni-miei-brillasti-un-dì-ma-ti-perdei. Un’altra aria d’obbligo dalla “Fanciulla del West”: ch’ella-mi-creda, … sino alla frase: ed io, ed io non tornerò (frase acuta: Si bemolle per il tenore) per capire il percorso dal centro all’acuto con un lento portamento sino al Si bemolle tenuto, sostenuto dal diaframma, senza spingere e senza colpi, in modo da familiarizzare con l’altezza del suono e far sì di partire dal primo “ed io” già timbrato, arrivando al secondo “ed io” acuto, lentamente, onde visualizzare il percorso con una immaginazione visiva e sensitiva.

Questo accadeva dopo vari tentativi, e quando Egli diceva ”questo è il giusto suono, la giusta posizione!”, solo allora si poteva fare una pausa.

Questo grande Maestro non ha mai fallito nella classificazione delle voci (cosa estremamente importante), non ha mai illuso nessun allievo, non era prodigo di complimenti, ci ha sempre indirizzati verso il giusto repertorio da seguire, (altra cosa estremamente importante, oggi non più di moda), non è mai intervenuto nel togliere quello che di giusto la natura aveva già dato all’allievo.

Il grande carisma di quest’uomo consisteva non solo nel fatto dell’avere davanti una persona di grande cultura, sia musicale che letteraria (pianista, compositore, poliglotta), Egli godeva di fama internazionale, della stima sincera dei più famosi musicisti della sua epoca, ed aveva una chiara visione della proiezione nello spazio scenico del futuro. Questo era frutto di tutto quello che aveva creato con la sua volontà, passione e dedizione pura all’arte.

Attraverso i suoi insegnamenti, l’allievo giungeva al palcoscenico già carico di un ricco bagaglio culturale, schivo da ogni istrionismo, umile e soprattutto forgiato musicalmente e stilisticamente, in grado di affrontare prestigiose collaborazioni e la coscienza del ruolo nel teatro musicale in modo da divenire alfieri in determinati personaggi, senza nulla sottovalutare di ciò che è proprio della natura musicale intrinseca di ognuno di noi. A questo nobile obiettivo, il Maestro spinse per tutta la vita coloro che lo meritavano.


E se anche è vero che il curriculum di un artista è cosa importante e testimonianza della sua attività svolta, quello che più, invece, è motivo di orgoglio e mi onora profondamente, è l’essere stato l’ultimo dei suoi allievi.


M° Robleto Merolla

Docente di Canto

presso il Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro